La mia famiglia abitava al primo piano di una palazzina costruita dalla Banca Nazionale Del Lavoro presso la quale lavoravano tutti i papà. Noi bambini, per lo più coetanei, eravamo tutti amici: si giocava in cortile, nelle ore in cui veniva consentito, nelle altre ci si sentiva più liberi correndo e gridando sguaiatamente sul marciapiede di casa. Erano giochi di gruppo, che vedevano l’alternarsi di penitenze, vinti e vincitori cosicchè tutti rientravano a casa gratificati, felici e contenti. Non avevamo tanti giocattoli, più spesso si inventavano giochi/giocattolo, molti dei quali venivano costruiti con avanzi di fortuna, trovati in casa o per strada. In verità era più il tempo passato a progettare il gioco e il giocattolo che l’effettivo suo utilizzo successivo. Ma questo tempo zeppo di idee a cui si dedicavano entusiami ed energie infinite, lo ricordo con un’emozione particolare.
Al termine dell’anno scolastico, dopo le pagelle e gli esami di seconda e di quinta iniziavano le vacanze. In luglio, si partiva per la colonia, offerta dalla banca ai figli dei dipendenti. Non si poteva scegliere: i maschi in montagna a San Martino di Castrozza e le bambine al mare, a Riccione. Si partiva con un pullman, tutti insieme, per trascorrere un mese in cui l’unico contatto con la famiglia era dato da una lettera. Era perciò molto importante il momento della distribuzione della posta. Mentre scrivo riprovo la stessa ansia che suscitava allora l’attesa di sentir pronunciare il proprio nome. Tutti intorno alla educatrice si sperava di essere chiamati per leggere qualche notizia da casa, per assaporare l’affetto famigliare. Chi riceveva posta, dopo la lettura, scambiava con gli altri tutto. Era un parlarsi agitato, alcuni piangevano invocando “mamma”, altri li consolavano mentre altri ancora si davano un atteggiamento indifferente e disinteressato e si allontanavano per giocare.
Ho un ricordo indelebile di questi momenti: non ero tra coloro che ricevevano posta di frequente e proprio questo era spesso motivo di tristezza. Il giorno in cui anch’io ricevevo posta provavo un’emozione che si protraeva per tutta la giornata. L’arrivo della “lettera” era sempre un momento sorprendente. Ritirata la busta, rettangolare, piuttosto piccola, quasi più simile a quella di un biglietto d’auguri, la aprivo trepidante e curiosa, a volte provando un senso di invidia per le mie compagne che nella busta dalle dimensioni maggiori, trovavano un foglio grande. La busta piccola mi rimandava quasi un senso di disinteresse, una sorte di trascuratezza da parte della mamma che mi “scriveva poco".
Non ho mai ricevuto una busta normale. Nella mia piccola busta però c’era raccolto il mio mondo, il riassunto in immagini della mia casa, della mia famiglia. L’ho concretizzato solamente molti anni dopo. C’era una mamma emozionata e attenta perchè mi giungesse l’atmosfera di casa, perfino nei profumi. L’ho capito solo da adulta, un giorno, d’improvviso, mentre mi dedicavo con passione alla realizzazione di un libro d’artista. La mamma confezionava con fogli di quaderno a quadretti, piegati in due o in quattro, un libretto piccolo piccolo, con le pagine cucite con filo da ricamo colorato, ognuna delle quali conteneva una breve frase e “cose” che sapevano di casa: una fogliolina secca del vaso sul balcone, il disegno di un mazzolino di fiori, una bambolina con avanzi di stoffe che ben conoscevo, casette di montagna come solo lei sapeva ritrarre, con tegole rosse disegnate una ad una, fili di lana incollati che come strade colorate, correvano lungo le pagine collegando un disegno al successivo, oppure che contornavano il profilo del foglio. Altre volte le paginette riportavano nella parte bassa disegni di greche che ne definivano cromaticamente i bordi. Il libretto di mamma… Il tesoro da tenere in tasca tutti i giorni.
(libri d’artista)
A Natale si ricevevano nuovi giocattoli, regalo del Babbo-Natale-banca a noi bambini che a volte li facevamo diventare oggetto di baratto e scambi; a undici anni diventava importante capire il valore del denaro e allora si aveva diritto ad un salvadanaio, in metallo, a forma di cassaforte, con una chiavetta che veniva custodita dalle mamme, mentre a dodici ci spettava il regalo più importante, la tanto desiderata bicicletta. Dopo nulla: si era diventati grandi.
I genitori erano tutti colleghi di lavoro, quindi le mamme, per lo più casalinghe, si frequentavano conversando e non sempre amichevolmente! Capitava talvolta che la mamma scendesse al piano di sotto del nostro appartamento per incontrasi con l’amica vicina, il cui figlio aveva cinque anni più di me. Di questi momenti ho ricordi piacevoli e precisi, commuoventi. Uno in particolare sicuramente è divenuto determinante nelle mie scelte di vita. Avrò avuto sei anni. Le due amiche come sempre chiacchieravano fitto fitto, parlavano di cucina, di lavoro e di noi bambini, io ascoltavo tranquilla ma a volte, lo ricordo benissimo, percepivo la sensazione che mi volessero escludere. Era però il preludio al momento che per me si configurava più entusiasmante. La signora Bruna prendeva una sedia e la avvicinava alla credenza, ponendo lo schienale contro il mobile e, invitandomi poi a salirvi, apriva un cassetto, dicendomi: “Guarda quante belle cose!” In quel cassetto io mi ci tuffavo. Io lì mi perdevo… una figurina di calciatori, un pupazzetto, le automobiline di Giorgio, una cartolina curiosa, di quelle che pigiate suonavano, qualche palloncino e tanti bottoni. La signora raccoglieva in quel cassetto bottoni di vario tipo, di ogni forma e colore, di dimensioni diverse, anche molto grandi o di madreperla, con luccichii irresistibili. Io me ne stavo silenziosa e incantata ad osservare tutto, indifferente ai loro discorsi, ogni tanto chiedendo spiegazioni sull’uso o sul significato di ciò che trovavo. Nel cassetto vi era sempre riposta una scatolina dorata, cilindrica, lunga una quindicina di centimetri: conteneva delle piccole caramelle di zucchero, della grandezza poco maggiore di un pisello, erano coloratissime e trasparenti per consentire la visione del rosolio contenuto all’interno. Quelle caramelline per consuetudine diventavano il premio, da me graditissimo, nel momento dei saluti. La signora Bruna inconsapevolmente con il suo cassetto delle cianfrusaglie ha lasciato in me un’impronta indelebile, ha posto a dimora un piccolo seme che nel tempo si sarebbe rigenerato.
Sono molte le persone, i maestri, il cui incontro ha lasciato un segno nel mio sentire, ma quello con la signora Bruna credo sia stato il primo zeppo di significati.