“I ragazzi ci arrivano in misure, pesi e colori assortiti. Li troviamo dappertutto; sulla cima di, sotto a, dentro il, mentre si arrampicano su, dondolando da, corrono per o saltano sopra. Le mamme li adorano, le bambine li odiano, le sorelle e i fratelli maggiori li tollerano, gli adulti li ignorano e il Cielo li protegge.
Un ragazzo è la verità con la faccia sporca, la saggezza con i capelli arruffati, la Speranza dell'avvenire con un ranocchio in tasca. Il ragazzo ha l'appetito di un cavallo, la digestione d'un ingoiatore di spade, l'energia d'una bomba atomica tascabile, la curiosità d'un gatto, i polmoni di un dittatore, la fantasia di un Giulio Verne, la timidezza della violetta, l'insidia d'una trappola d'acciaio, l'entusiasmo d'un razzo e, quando si mette a fabbricare qualcosa, ha cinque pollici per mano.
Gli piacciono i gelati, i temperini, le lime, il Natale, i giornali a fumetti, il ragazzo che abita di fronte, i boschi, l'acqua (nel suo ambiente naturale), i grossi animali, il babbo, i treni, la domenica mattina e i carri dei pompieri. Non vede di buon occhio il catechismo, le visite, la scuola, i libri senza illustrazioni, le lezioni di piano, le cravatte, il barbiere, le bambine, i soprabiti, le persone grandi o il momento di coricarsi. Nessun altro s'alza così presto o arriva a cena così tardi. Nessun altro riesce a ficcare in una sola tasca un temperino arruginito, una mela rosicchiata, uno spago, un sacchetto di tabacco vuoto, due caramelle, dieci lire, una fionda, un pezzetto di una ignota sostanza e una raccolta di figurine dei giocatori di calcio.
Un ragazzo è una creatura magica: potete chiuderlo fuori dal vostro studio, ma non dal cuore. Potete scacciarlo dalla vostra stanza ma non dalla mente. Tanto vale che vi rinunciate. È il vostro carceriere, il vostro superiore, il vostro padrone, un terremoto in miniatura dalla faccia lentigginosa. Ma, quando tornate a casa la sera recando con voi solo i brandelli delle vostre speranze e dei vostri sogni, lui può rimetterli a nuovo con due magnifiche parole: "Ciao, papà".
Alan Beck, 1949
Questo testo, letto in tempi diversi, ha contribuito a farmi capire i perché di certe mie scelte. A quindici anni per caso lessi questa pagina: era un foglio in formato A4 piegato in otto parti, rimasto sul tavolo dove mio padre aveva svuotato il portafoglio per riordinarlo. Incuriosita da quel foglio piegato e ripiegato più volte, lo presi e lo aprii, lentamente per non rovinarlo, piega dopo piega, mentre il papà mi osservava silenzioso. Lo lessi d’un fiato e gli chiesi perché conservasse proprio lì, nel portafoglio un foglio grande così tante volte ripiegato. Laconica la risposta “Lo capirai più avanti, da grande” poi null’altro.
È mancato quando avevo trent'anni e tre figli. Non ricordo più la sua voce. Molti anni dopo aiutando la mamma ormai anziana, a sistemare un armadio, trovai un abito del papa: in tasca c’era ancora il suo portafoglio. Ancora con quella pagina, sgualcita e ingiallita. L’eredità.