mi racconto — sara montani

MI RACCONTO

Nel 1970 vengo chiamata ad insegnare nella scuola media inferiore nelle ore delle Libere Attività Complementari. L’incarico è per Attività teatrali: il teatro, insieme alla sperimentazione, diverranno una peculiarità costante della mia esperienza didattica. Conseguo quindi l’abilitazione all’insegnamento per Discipline pittoriche e Educazione artistica e mi dedico, per convinta scelta, all’insegnamento di Educazione artistica nella scuola media, riversando in esso la mia passione d’artista e il gusto per la ricerca laboratoriale.

L’intento è attribuirmi il ruolo di insegnante, non come semplice portavoce di nozioni, ma come artista operante che, nel momento formativo, educa se stesso, proseguendo più a fondo la propria ricerca.

Prevale infatti nella mia didattica la proposta educativa e formativa del “fare teatro”, finalizzata a coinvolgere le discipline curriculari, motivando i ragazzi con partecipazioni a mostre e concorsi d’arte. Insegnerò sino al 1991. Nel 1974 mi sono sposata con Aldo Gulizia; nasceranno nel 1977 Silvio, nel 1979 Ilaria e nel 1980 Daniele. Contemporaneamente espongo in mostre personali e rassegne collettive.

Lasciato l’insegnamento, nel 1996 ideo e curo la mostra Vale la pena di... 350 Ragazzi e 34 Artisti hanno detto la loro sui propri valori, manifestazione che mira a individuare valori e bisogni nei giovani. Pubblica il volume, dallo stesso titolo, che raccoglie testimonianze ed esperienze di docenti e personalità operanti nel mondo della formazione e dell’arte. L’anno successivo, sempre nello Spazio Prospettive d’Arte di Milano, presento la mostra e il volume Non stiamo seduti...! Percorsi e fatti creativi: più realtà a confronto, che progetto e curo con Eugenia Pelanda Boccafogli. All’evento, patrocinato dal Comune di Milano, dall’Assessorato ai Servizi Sociali della Provincia di Milano e dal CRTI dell’Università Cattolica. Nel 1998 viengo designata direttore artistico della Associazione Boccafogli. Sono gli anni in cui avvicino al mondo della scuola la sperimentazione calcografica.

Su regole e trasgressioni si fonda l’intuizione che mi consentirà di dar vita, nel 1999, al Progetto formativo di incisione e stampa, cui mi dedico con passione per poter individuare un metodo didattico. Riunisco un gruppo di artistiche operano con me nella ricerca dell’incisione quale strumento formativo. Nasce il laboratorio la Stamperia BcomeBottega, dapprima in Fabbrica del Talento, Centro di attività espressive dell’Università Cattolica, poi nella scuola primaria Thouar-Gonzaga di Milano, dove la stamperia rimane attiva sino all’ottobre del 2020, quando la pandemia impone l’isolamento.

Nel 2012 intanto, avevo dato vita alla Galleria delle Lavagne, una vera e propria galleria d’arte collocata nella scuola primaria Cesare Battisti di Milano e, diventata nel 2016 presidente e direttore artistico dell’Associazione Culturale Livia e Virgilio Montani (già Associazione Boccafogli), aggiorno il progetto ampliandolo in Artinaula: le mostre vengono allestite all’interno delle diverse aule scolastiche e gli artisti invitati progettano attività laboratoriali con i ragazzi.

Nello stesso anno avvio anche il laboratorio OcomeOmbra, teatro d’ombra nella scuola e il progetto La Biblioteca Fantastica: una raccolta di libri d’artista, realizzati nelle scuole di ogni ordine e grado, da artisti e studenti insieme, che poi vengono donati dall’Associazione Montani alla Biblioteca Nazionale Braidense dove attualmente costituiscono un fondo di libri d’artista. Nel 2020 ha avuto luogo la terza edizione.

Con metodo sempre più consapevole e concreto, la sperimentazione salda l’attività di formazione con la ricerca artistica, che procedono sempre di pari passo.
Il mio lavoro si orienta così verso l’impiego della stampa originale in esemplari unici, monoprint e monotipo; la affiancano pittura e scultura, fotografia, installazioni, libri d’artista, teatro e ombre: sono questi i linguaggi della mia ricerca, dedicata spesso a problematiche sociali.


Il mio è un modo d’operare piuttosto impulsivo, traboccante di curiosità, talvolta forsennato, una ricerca incline a rovistare quell’universo di fantasia e poesia che affonda le radici nella memoria, mia e di tutti. Si esplicita attraverso il confronto tra le molteplicità dei linguaggi, delle poetiche e delle tecniche espressive, dalla pittura alla scultura, dalle installazioni ai libri d’artista, e all’incisione, impiegando i materiali e i supporti più diversi.

Oggi la mia ricerca si è concretizzata in una riorganizzazione archeologica e antropologica, fatta con oggetti/reperti, da cui trarre a volte opere materiche, altre incisioni, stampe monoprint e monotipi o, ancora, sculture o installazioni. Questi possiedono l’intento di salvaguardare stralci di vita, costumi passati, memorie di ciò che non ha immagine, che è irraffigurabile, insieme al potere di stupirmi per tutte le infinite storie che ancora questi oggetti sanno suggerirmi.

Hanno altrimenti queste “cose” un’opportunità di salvezza dall’oblio? Il tempo è una forza che non accompagna sulla via del declino e del disfacimento, ma conduce all’arricchimento e alla riflessione. Giace sopito nella memoria individuale e collettiva e nella trasmissione da generazione a generazione.

Nello scorrere degli anni questi pensieri, uniti alla volontà e alla caparbietà di recuperare tracce e memorie di vissuti, di tradizioni e costumi, si sono circoscritti prevalentemente agli indumenti. L’abito, la sottoveste, la camicetta, un grembiulino, un colletto o il bavaglino mettono al centro l’Uomo, trattengono in modo effettivo, concreto, fisico la vita, l’intimità, il valore dell’esistenza. Il dar loro “nuova forma” mi cattura, l’invisibile dà senso al visibile, si incarna, si fa corpo, materia e segno e, contemporaneamente, mi consente di recuperare immagine storica e tradizione.

I linguaggi espressivi che ho ritenuto più idonei a tal fine sono stati la calcografia e la scultura in resina. Per intuito, ho iniziato poco alla volta, privilegiando oggetti legati ad affetti, col fine di “sentire”, nella mia pratica consueta, brandelli di vita appena trascorsa, la realtà più vicina. Ho considerato l’abito come traccia privilegiata del vissuto, segno equivalente al linguaggio, e quindi ho voluto elaborare il vestiario, gli indumenti, reiterpretandoli ogni volta in modo nuovo.

Sara Montani

Segreta-mente 2019, Cianotipia su carta Graphica 70x50,5

L’indagine sull’oggetto

Sara Montani attinge costantemente all’esperienza biografica. Gli indumenti e la lingerie che introduce nel quadro come presenza oggettuale, fisica, o come segno e impronta, infatti, sono abiti vissuti, dismessi e come impregnati di umori umani.

In questa fase della sua ricerca, che si approfondisce intorno al 2000 l’artista si concentra infatti sull’oggetto-abito quale allusione metaforica alla presenza umana assente: non a caso, in passato la sua opera era stata avvicinata, per affinità poetica, a quella di Christian Boltansky, proprio per l’impatto della presenza umana in assenza della figura. Questo era particolarmente evidente nelle installazioni di abiti vetrificati tramite resina realizzati alla fine degli anni Novanta: Sara Montani aveva irrigidito gli indumenti facendone presenze fluttuanti e spettrali come fossero fossilizzati.

Tutto questo, poi, sarebbe confluito subito dopo nella produzione grafica dell’artista, in linea con la sua ferma intenzione di mostrare «come la gestione creativa delle regole dell’incisione» scriveva nel 2008, «offra spazio e libero intervento alla creatività, attraverso la manipolazione e trasgressione delle regole stesse».

Il suo lavoro, in particolare, si orienta verso il monotipo e la monostampa, che le consentono l’utilizzo di materiali atipici come pizzi e tessuti, da imprimersi a secco o da inchiostrare come una vera e propria matrice, oppure da lasciare come impronta sulla lastra per ottenere una matrice calcografica. «La peculiarità del monotipo», scrive sempre l’artista, «consiste nell’essere esemplare irripetibile: la matrice si perde nel medesimo momento in cui si realizza la stampa.
Nelle monostampe invece la matrice non si perde, anzi, diviene il mezzo essenziale per originare stampe uniche con caratteristiche tecnico-linguistiche differenti, che esplicito giocando ogni volta con uno o più elementi del linguaggio visivo (segno, colore, forma o composizione)».

Luca Pietro Nicoletti